a cura di Federico Novella per “la Verità”
«Il Pd dica no agli intrallazzi, e lo dica chiaramente».
A suonare la sveglia in un partito balcanizzato, di fronte al montare dell’ inchiesta sul mercato delle toghe che adesso sfiora anche il Quirinale, è Massimo Cacciari. Il filosofo veneziano sogna una sinistra che rifiuti il compromesso, che riproponga con forza la questione morale e si riavvicini alle periferie, oggi feudi sovranisti.
Professor Cacciari, come interpreta il terremoto nel Csm? Immaginare parlamentari e magistrati che si incontrano di notte negli alberghi per pilotare le nomine chiave. Un’ inchiesta che lambisce addirittura il Quirinale. Che effetto le fa?
«In un certo senso me lo aspettavo. Il cancro che da decenni ammorba la politica ha contagiato anche la magistratura. Del resto, quando un regime politico è avviato al declino, da tutti i punti di vista, economico, sociale, culturale, in ogni branca delle istituzioni dilaga il virus della corruzione. È quello a cui stiamo assistendo».
La magistratura sembra non sia mai stata così delegittimata. Bisognerebbe cambiare le regole per l’elezione degli organi di autogoverno?
«C’ è un solo rimedio. Tirar via la politica e le sue logiche dall’ organizzazione della magistratura. La quale deve essere gestita in autonomia, senza interferenze. Questo non vale solo per le toghe, ma anche per altri corpi del sistema pubblico, come ad esempio la scuola».
Forse suona un po’ corporativa, come soluzione.
«Può darsi. Ma sempre meglio dello spettacolo che abbiamo davanti».
Si è stupito del ruolo che nella vicenda Palamara pare abbia avuto Luca Lotti, terminale del renzismo?
«Non mi stupisce, e comunque non mi pare che dentro questa storia ci sia solo l’ influenza del renzismo, ma anche tanto altro. È il sintomo di una malattia, che nessun partito può tollerare».
Intanto nel Pd è guerra aperta. Lotti si è autosospeso. Molti, come Carlo Calenda, vorrebbero vederlo fuori. Lei è tra questi?
«Dobbiamo partire da una domanda. Qual è la posizione del partito sulla questione? Nicola Zingaretti ha il dovere di dire chiaramente che nel nuovo Partito democratico, ammesso che sia davvero nuovo, non ci possono essere persone che intrallazzano per le poltrone».
E quindi dovrebbe cacciare Lotti dal partito?
«È chiaro che il segretario deve dare un giudizio chiaro su tutta la vicenda, da cui conseguentemente risulti che persone come Lotti non hanno ragione di essere, in un partito che si vorrebbe portatore di novità».
L’interessato si difende dicendo che non c’è reato.
«Ma questo che c’ entra? I reati li stabiliscono i giudici. La condotta è moralmente inammissibile».
Qual è la questione morale?
«L’ intrallazzo sistematico per accaparrarsi il potere in quanto potere. Quello non è accettabile».
Intanto il partito sembra balcanizzato. E per il momento Zingaretti ha ringraziato Lotti per essersi autosospeso.
«Ecco, sì: magari poteva evitare di ringraziarlo».
Diciamo che il segretario non brilla per coraggio?
«Vedremo, vedremo».
Senza i renziani il Pd sarebbe un partito migliore?
«Il problema non sono loro, ma la linea del partito e un gruppo dirigente decente. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Se vuole avere qualche chance, la sinistra deve diventare radicale».
Radicale quanto?
«Nel senso che deve proporre con forza riforme radicali. Basta con la storia del partito moderato. La moderazione serve a poco di fronte alla sfide che ci attendono, anzi. Occorrono riforme profonde, a cominciare da quelle istituzionali, di cui stranamente non parla più nessuno. Camera e Senato così come sono congegnate non servono al Paese, e poi il lavoro, la sanità. Occorre tagliare la spesa, abbattere gli sprechi. Poi possiamo anche pensare a tagliare le tasse. È da 25 anni che ripeto queste cose, ma a quanto pare inutilmente».
Queste riforme si potrebbero varare presentando un’alleanza Pd-5 stelle?
«L’importante è farle».
La sinistra le sembra preparata a cogliere l’occasione? Il segretario del Pd le sta dando ascolto?
«Ma direi proprio di no. Anzi, mi pare non stia rispettando la linea che aveva imboccato all’epoca delle primarie. È stato eletto sulla base di una promessa di una forte discontinuità».
E invece?
«Sta ancora cercando a tutti i costi il compromesso con le diverse anime del partito. Ma basta, insomma, che prenda una decisione. Serve uno scatto d’ orgoglio. Il centrosinistra deve prendere una strada: lasciare il centro e tornare a essere sinistra».
E chi non ci sta, per esempio Matteo Renzi?
«Chi non ci sta, che vada per la sua strada».
Non le dà fastidio che a sinistra si vada spesso al traino di papi stranieri, per esempio Emmanuel Macron?
«Chiamiamo le cose con il loro nome: “complesso di inferiorità”».
Alcuni intellettuali progressisti, tra cui Federico Rampini, sostengono che la sinistra si è profusa nella solidarietà ai migranti, al punto da dimenticare i bisogni degli italiani. Concorda?
«Certamente. È uno dei risultati di questa rincorsa al voto dei moderati, sembra che a questa classe dirigente non interessi altro. Il risultato sa qual è? A furia di spostarsi verso il centro, sono rimasti prigionieri del centro storico. Si sono rintanati nel rifugio dei benestanti. E di conseguenza hanno dimenticato le periferie, hanno abbandonato gli italiani in difficoltà, una larga parte di elettorato che è stata consegnata ai partiti populisti e alla destra sociale.
Quella a rischio fascismo?
«Macché fascismo. Anche qui, adoperiamo bene le parole. Non possiamo dare del fascista a Matteo Salvini. Anche perché non se lo merita. Stiamo parlando di grandi tragedie del Novecento, serve rispetto anche del nostro passato. Niente a che vedere con le miserie di oggi».
È proprio per combattere la miseria che Salvini tenta disperatamente di abbassare le tasse.
«Guardi che la flat tax io sarei il primo a volerla».
Come sarebbe?
«Ma è ovvio. Poco fa ero dal commercialista. Lo sa quanto pago di tasse? Il 60%. Sessanta! Si rende conto?».
E quindi, evviva la flat tax.
«Ma è ovvio che tutti pretendiamo un abbassamento della pressione fiscale. Il problema è che non ci sono le condizioni. E quindi di che parliamo?».
Immagino non dei minibot?
«Ecco, per cortesia, cambiamo argomento che è meglio. Non voglio occuparmi di baggianate».
Allora degli ultimatum europei sui conti di casa nostra, professore. Riusciremo a evitare la procedura d’ infrazione?
«Finiamola con questa storia degli ultimatum. La verità è che il nostro Paese ha dei fondamentali economici pessimi, e una montagna di debito accumulato grazie ai governi del passato. Guardiamo noi stessi, anziché accusare sempre e comunque l’ Europa».
E quindi, ci arrendiamo all’austerity?
«Ma quello non è un problema».
No?
«No perché, al di là dei toni bellicosi, vedrete che una soluzione di compromesso, tra Bruxelles e Roma, si troverà. E per un motivo molto semplice».
Quale?
«L’Europa non si può permettere di trattarci come la Grecia. Non si può permettere di lasciare andare l’Italia nel caos. Perché il tracollo italiano si porterebbe dietro anche gli altri Paesi».
Non ci resta che sperare se ne rendano conto?
«Devono. Del resto è dagli errori e dalle insufficienze degli europeisti che nascono i sovranismi».
Crede ancora che il governo possa restare in piedi?
«Questo governo non cadrà nel breve periodo. Non vedo alternative. Certo, dubito fortemente che arrivi a fine legislatura. Ma comunque andranno avanti. Salvini non ha interesse a provocare un’accelerazione verso le elezioni. E i 5 stelle».
C’è ancora Luigi Di Maio nel loro futuro?
«Per forza di cose. Togliere di torno lui significa far precipitare partito e governo».
Ci risentiamo al prossimo video postato su Facebook da un leader di maggioranza?
«Ecco, su questo una cosa me la faccia dire. Io davvero non ne posso più dei politici che si comportano come adolescenti complessati».
Cioè che postano compulsivamente sui social? Ma la comunicazione pop agevola l’identificazione con il popolo, no?
«Ma mi faccia il piacere. È una deriva inquietante».
È antitecnologico?
«Ma no, non condanno i nuovi mezzi di comunicazione. Però vorrei una politica che si distingua, che dia il buon esempio. Che si esprima in maniera meno volgare. Altrimenti il concetto di autorevolezza, dove va a finire?».