Stralcio Intervista a Massimo Cacciari a cura di Gianluca Veneziani per Libero
Professor Cacciari, il governo rischia di cadere se non trova una soluzione alla questione Ilva?
«Non penso cadrà su quello. Se non si vuole fare propaganda, bisogna ammettere che le scelte del governo ereditano una catena di disastri nelle politiche industriali compiuti da 30 anni a questa parte. La vera sciagura è stata la dismissione dell’industria di Stato. Pertanto non si può gettare la croce addosso solo a quanti oggi sono al potere oggi”
Lei sarebbe favorevole a un intervento pubblico di Cassa Depositi e Prestiti e a una nazionalizzazione dell’Ilva per salvare l’occupazione dei lavoratori?
«Ma capisce la follia della cosa? Dopo che tutti, da destra a sinistra, hanno ideologizzato la privatizzazione dell’azienda e gridato “basta con l’ industria di Stato”, e dopo che questa privatizzazione è stata fatta a cazzo di cane, ora si chiede di riconsegnare l’Ilva a una gestione pubblica».
La manovra economica le piace?
«È una manovrina che non cambierà assolutamente nulla nel bene e nel male. Il nostro Paese continua a far crescere ogni anno il proprio debito e non ci sono grandi margini di azione. Semmai il governo avrebbe dovuto rendersi conto del modo assurdo in cui è stato fatto il reddito di cittadinanza, recuperare soldi da lì e destinarli al taglio del cuneo fiscale».
A due mesi dalla nascita del Conte Bis che giudizio dà al governo?
«Penso non sia stata una scelta saggia farlo nascere. In tempi non sospetti ho sostenuto la necessità di una formula di intesa tra Pd e 5 Stelle, al governo come all’opposizione. Ma dipende dal modo in cui si sta insieme: lo si può fare in modo minimamente sensato sulla base di qualche compromesso e di una volontà politica chiara, oppure lo si può fare malissimo. In questa circostanza è venuto fuori un piccolo pateracchio, come sa bene Zingaretti che infatti all’ inizio non voleva l’accordo.
In generale credo sarebbe stato meglio sfidare Salvini in campo aperto. Era stato lui a volere le elezioni, e il Pd e i 5 Stelle avrebbero potuto convergere in una campagna elettorale durissima contro di lui, recuperando i voti persi alle Europee. In quel caso Salvini avrebbe vinto ma non stravinto, come invece rischia di fare ora, dopo le elezioni in Emilia Romagna».
Se Pd e 5 Stelle perdono anche quella Regione, l’unica strada è il voto?
«Il Pd, che è già in stato confusionale, davanti a una sconfitta andrebbe in confusione totale e non potrebbe resistere al governo. I giallorossi dovrebbero allora prendere atto che il loro esecutivo è sempre meno rappresentativo delle tendenze del Paese».
Ma non sarebbe il caso di rinunciare anche ad alleanze locali tra dem e grillini visto il fallimento dell’ esperimento umbro?
«In Umbria sono stati commessi errori inauditi dal punto di vista tattico. Ad esempio: si può essere così stupidi da credere che l’accordo Pd-5 Stelle possa funzionare in quella regione? Neppure lo Spirito Santo avrebbe potuto vincere. Hanno poi sbagliato a caricare quelle elezioni di un significato politico nazionale. E, ancor di più, a fare campagna elettorale col re del cachemire, mentre Salvini girava per le fabbriche. Ma io dico: si sono mica bevuti il cervello?».
Lei ha invocato una rifondazione del Pd e sostenuto la necessità di «fare fuori tutti i vecchi capi bastone». Ce lo vede Zingaretti in versione Rottamatore, una sorta di Zinga-Renzi?
«Credo che il Pd abbia bisogno di formare una classe dirigente nuova e competente, in cui ciascuno segua un settore specifico. E di diventare una struttura federale, attingendo le risorse migliori dagli amministratori locali e non più da un gruppo asserragliato a Roma che ricorre alla cooptazione per designare i candidati. Solo così smetterebbe di perdere nei collegi, come capita alla sinistra ormai da 15 anni».
Ma chi può avere la forza di attuare questo cambiamento?
«Nel Pd non vedo giganti. Zingaretti è un buon primus inter pares, una bravissima persona dotata di saggezza e capacità. Ma come principe assoluto non funzionerà mai, non è nel suo stile. Tutti gli altri non hanno il curriculum adeguato. Il più colto e apprezzato è Gianni Cuperlo, che tuttavia non ha voglia di lotta politica».
E Renzi in questo scenario che ruolo svolge?
«Cerca in tutti i modi di scongiurare le elezioni. D’ altronde, cosa potrebbe mai fare con il 3 per cento? Il suo scopo è logorare il governo pian piano e dall’ interno. E arrivare almeno all’ elezione del presidente della Repubblica. Cosa sensata, a condizione che si scelga una persona dotata di lustro internazionale. Penso, ad esempio, a Mario Draghi».
Ma non è che, sotto sotto, Cacciari quasi rimpiange il governo gialloverde?
«No, guardi, io provo un’insopportabilità estetico-fisica verso Salvini. Credo che tra me e lui ci sia una diversità antropologica».
E se invece chiedessero a lei di tornare in campo nelle file del Pd, cosa risponderebbe?
«Se vedessi che la situazione evolve nella direzione che le ho detto, quella di una rifondazione, mi metterei in gioco e darei volentieri una mano».
A proposito di rifondazione, una parte della sinistra sembra ancora prigioniera del passato. In occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, nel governo c’ è chi ha rifiutato di ammettere che quella nella Germania Est fu una «dittatura comunista». Perché è così difficile fare i conti con la storia?
«Io non vedo nulla di male a riconoscere che quella fu una dittatura del comunismo. In generale credo che il miglior esercizio della ragione sia farla finita con tutti gli -ismi. Gli -ismi fanno di ogni erba un fascio, mentre la bellezza sta nella differenza, che è una delle maggiori ricchezze che abbiamo avuto in dono. Quanto al comunismo, è importante capire cosa intendiamo: un conto è quello sovietico, altra cosa è quello di Rosa Luxemburg o di Rossana Rossanda. Stalin non si può confondere con Marx. Come del resto esistono tanti fascismi diversi: ci fu il fascismo di Bottai e di Gentile e quello di chi stilò il manifesto della razza».
Per chiudere, da professore universitario che ha fatto politica, consiglierebbe a un altro accademico che si è messo in politica, cioè Giuseppe Conte, di lasciare tutto e tornare in università?
«No, che continui pure a fare politica. Con tutto il rispetto, non è stata una grande perdita per l’ accademia».