di Paola Zanca per Il FQ, 28-8-19
Ha fatto in tempo a scendere dal Quirinale e a tornare nel suo appartamento romano. Forse per un attimo ha anche pensato di potersi rilassare, almeno per una sera, ora che il primo round si è chiuso e che l’incarico a Giuseppe Conte è cosa fatta.
Invece no, perché sul telefono di Luigi Di Maio è comparso il messaggio di Beppe Grillo, che si rivolge alla nazione ma soprattutto a lui.
Quindici tremendissime righe in cui avverte i “poltronofili”: a capo dei ministeri mettete “personalità del mondo della competenza”, per fare politica bastano i posti da “sottosegretari”.
L’hai sentito il boom?, direbbe qualcuno, parafrasando la fatica con cui l’allora presidente Napolitano prendeva atto del successo dei grillini alle Politiche del 2013. Ma stavolta il botto l’ha fatto un altro, quel Beppe Grillo che solo l’altro ieri aveva annunciato il suo “ritiro ” dalla trattativa cominciata nella villa di Bibbona e che invece ventiquattro ore dopo se ne esce con una proposta esplosiva per il suo Movimento.
Non solo perché crea un ulteriore problema a quel Luigi Di Maio che è in guerra aperta per rimanere vicepremier – tant’è che, pochi minuti dopo, dal M5S fanno sapere che i due si sono sentiti e che Grillo gli avrebbe chiarito: “Sei tu il capo politico, e decidi tu per il Movimento, il mio è stato un paradosso” – ma soprattutto perché ribalta completamente la strategia che stanno portando avanti i Cinque Stelle.
IL DISEGNO È PRECISO e ha “un potenziale altissimo”. Perché questa storia del governo giallorosso, a Di Maio, può servire per dare la forma definitiva all’identità del nuovo Movimento che lui in questi anni si è impegnato a costruire.
Una Democrazia Cristiana 2.0, arrivano a teorizzare i suoi fedelissimi, certi che – “se ce la giochiamo bene” – l’alleanza con il Pd diventerà il modo per dimostrare all’elettorato che il M5S è l’ago della bilancia del Parlamento, “la forza politica con cui chiunque voglia andare al governo sarà costretto a parlare”.
È un progetto di restyling d’immagine che avrà molto a che fare anche con la riorganizzazione del Movimento, più volte rimandata, che dovrà per forza tenere conto della natura “bipolare” che il dialogo con Zingaretti ha certificato. “Siamo sempre stati un movimento post-ideologico – ha detto anche ieri Di Maio ai microfoni del Quirinale –Abbiamo sempre pensato che non esistano schemi di destra o sinistra, ma solo soluzioni”.
In questo senso l’insistenza sul vicepremier, secondo la lettura del suo inner circle, è tutta da leggere in chiave politica. Perché Di Maio non può permettere che il governo con Zingaretti veda sparire la componente Cinque Stelle da Palazzo Chigi. Avere ottenuto la premiership di Giuseppe Conte non basta, perché ormai tutti lo ammettono: “Ha una sensibilità vicina alla nostra, si è dimostrata una personalità di assoluta garanzia, ma la tessera del Movimento non ce l’ha”.
Tradotto, “non ci tutela fino in fondo”, soprattutto adesso che ha deciso di tenere stretti in mano i fili della trattativa per il governo. A cominciare dalla decisione sui vicepremier: se ci saranno o no, nel suo secondo governo, alla fine lo deciderà lui.
Ieri Di Maio non ha per nulla gradito le pagine dei giornali che fotografavano le tensioni interne ai Cinque Stelle – gli attacchi di Alessandro Di Battista, di Roberta Lombardi e dello stesso Grillo – soprattutto perché secondo lui non hanno capito la posta in gioco.
“Non mi sto impuntando per avere una poltrona – ha ragionato con i suoi – ma sto chiedendo che in questo governo ci sia l’impronta politica del Movimento: non possiamo uscire ridimensionati rispetto all’esperienza con Salvini”.
IN MASSA, IERI, gli esponenti di punta dei Cinque Stelle hanno dato la loro solidarietà pubblica al capo: da Stefano Buffagni a Manlio Di Stefano, da Laura Castelli a Francesco Silvestri, da Riccardo Fraccaro a Paola Taverna.
I capigruppo Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli invece si sono premurati di smentire la fake news secondo cui “ci sarebbe una rivolta degli eletti circa il voto su Rousseau: stiamo parlando dell’opinione di 4 o 5 persone”.
Il voto si farà, ma solo quando il pacchetto sarà completo: agli iscritti del Movimento verrà chiesto di dire sì o no all’esecutivo Conte, ai ministri che avrà scelto e al programma che porterà avanti.
Se a garantirlo ci sarà anche Di Maio resta tutto da vedere.