di Daniele Martini per Il FQ, 26-10-19
Fu una scelta molto mirata quella di Matteo Renzi: tra le centinaia e centinaia di aerei sul mercato, andò a prenderne uno per la Flotta di Stato che solo per il noleggio costava 26 volte più di quanto sarebbe stato necessario sborsare per comprarlo. E per di più era pure un bidone.
LA DECISIONE di prendere proprio quel jet dalla compagnia araba Etihad a quel prezzo e tramite l’intermediazione di Alitalia fu così estrema e bislacca che i generali dell’Aeronautica che la dovevano sottoscrivere la vissero come una sorta di imposizione da trangugiare, un ordine proveniente dall’alto da eseguire anche se ritenuto sbagliato.
Una volta caduto Renzi, il nuovo ministro 5 Stelle dei Trasporti, Danilo Toninelli, dette incarico al manager aeronautico Gaetano Intrieri che faceva parte della Struttura tecnica del Ministero, di capire come era stato possibile che lo Stato italiano, attraverso il Ministero della Difesa e le sue varie articolazioni, avesse accettato un contratto del genere.
Intrieri si incontrò con i tre generali che avevano dovuto assistere loro malgrado alla faccenda e in quelle riunioni ebbe una conferma ulteriore che l’affare dell’aereo di Renzi presentava aspetti inquietanti.
I TRE GENERALI sono: Alberto Rosso, ora capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e ai tempi dell’affare dell’Air Force Renzi capo di Gabinetto del ministero della Difesa;
il generale Francesco Langella, allora capo della Direzione armamenti aeronautici e per l’aeronavigabili tà (Armaereo);
il generale Pasquale Preziosa, ora in pensione e a quel tempo capo di Stato maggiore dell’Aeronautica.
I colloqui dei generali con il consulente di Toninelli si svolsero al ministero dei Trasporti e in due occasioni alla Casa dell’Aviatore in viale dell’Università a Roma.
IN OGNI INCONTRO i militari ostentarono distacco nei confronti dell’aereo renziano.
In una delle riunioni il generale Rosso informò che lo Stato italiano aveva già pagato 50 milioni di euro per l’aereo di Renzi anche se Etihad in altri colloqui aveva ammesso di averne incassati solo 37.
Non è stato ancora chiarito dove siano finiti i 13 milioni mancanti.
Forse nelle casse di Alitalia che partecipava all’operazione insieme a Etihad, anche se i Commissari della compagnia non hanno mai fornito notizie a riguardo.
Un’eloquente traccia della distanza dei vertici militari dall’affare del jet di Renzi è presente nelle premesse al contratto che sono parti integranti di esso. In due paragrafi viene esplicitato e ribadito in maniera chiara e inusuale che tutta l’operazione era stata condotta dalla presidenza del Consiglio.
IN QUESTA SEDE stavano conducendo l’affare il consigliere militare di Renzi, generale Carlo Magrassi, e il sottosegretario alla Presidenza, Claudio De Vincenti.
Nei due paragrafi di premessa del contratto c’è scritto:
“1) La Presidenza del Consiglio dei ministri (PCM) ha comunicato al ministero della Difesa (che gestisce la c.d. ‘Flotta di Stato’) della necessità di nuove articolate esigenze funzionali legate all’efficientamento del servizio di trasporto aereo istituzionale per le più alte cariche dello Stato, e di nuovi requisiti tecnico-configurativi del servizio stesso necessari nell’attuale quadro geopolitico internazionale.
2) La stessa PCM ha, altresì, individuato tale capacità tra i velivoli della classe quadrimotori turbofan a lungo raggio e l’esigenza di dover ricorrere alla secretazione dell’impresa in applicazione all’articolo 17 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, attesa la necessità della salvaguardia, sicurezza e segretezza degli interessi essenziali dello Stato”.
IN QUELLE POCHE righe si specificava, in pratica, che l’esigenza di accrescere la flotta di Stato con un nuovo aereo era stata manifestata dalla presidenza del Consiglio e che la stessa presidenza aveva autonomamente provveduto a individuare l’aereo necessario su cui aveva apposto il segreto di Stato.
Nell’affare dell’Air Force renziano chi tirava le fila e beneficiava dell’operazione oltre a Renzi erano le due compagnie aeree private e a quel tempo socie: Alitalia da una parte e dall’altra Etihad, l’azienda di proprietà dell’Emiro di Abu Dhabi entrata con il 49 per cento nel capitale di Alitalia grazie proprio all’intervento di Renzi.
LE CARATTERISTICHE comunicate da palazzo Chigi ai vertici militari erano esattamente quelle del jet che con molta probabilità era già stato scelto, oltretutto senza alcuna gara internazionale, ma con una semplice trattativa privata: l’Airbus A340-500, numero di matricola 748 equipaggiato con 4 motori Rolls Royce Trent 553A2-61 in uso alla compagnia emiratina Etihad.
QUELL’AEREO apparteneva a una classe di velivoli particolarmente sfortunata che conta solo 39 esemplari, messa fuori produzione dopo appena un decennio perché decisamente scarsa.
I vertici del l’aeronautica militare erano certamente a conoscenza dei difetti dell’aereo prescelto e forse anche per questo motivo si tennero prudentemente alla larga dall’operazione.
Negli Airbus come quello di Renzi il rapporto tra fusoliera e motore era così squilibrato da costringere le compagnie che li avevano adottati a ridurre il numero di passeggeri o a ridurre il numero di sedili.
Etihad aveva immesso in flotta 4 aerei di quel tipo nel 2006 e decise di disfarsene appena dieci anni dopo mandandoli a morire n e ll ’aeroporto spagnolo di Teruel.
L’Airbus finito nella flotta di Stato italiana per volere di Renzi a un prezzo da amatori giace moribondo a Fiumicino.