Sembra quasi uno sciolingua: il centrodestra in Abruzzo ha già perso il centro.
La storia è un classico intreccio di familismo, veti e gelosie. E doppia morale, con la Lega che imbarca riciclati, ma mette il veto su quelli altrui.
E pure di un candidato presidente che non riesce a tenere unita la coalizione, il giorno in cui si depositano le liste in Corte D’Appello.
Figuriamoci, ironizza qualcuno anche di quelli che lo sostengono, che combinerà, nel caso, sugli atti di governo.
Partiamo dall’inizio. In Abruzzo – vedrete quante indicazioni nazionali darà il voto del 10 febbraio – a sostegno del candidato Marco Marsilio, di Fratelli d’Italia, oltre a Lega, Forza Italia e Fdi, c’è un rassemblement centrista, formato dall’Udc di Lorenzo Cesa, la Dc di Rotondi e Idea di Gaetano Quagliariello.
Comunque la si pensi, sono bei voti, in una regione storicamente moderata in cui in parecchi rimpiangono ancora Zio Remo (Gaspari, ovviamente). Questa coalizione è stata formalizzata.
Per intenderci, sui manifesti ci sono i simboli a sostegno del presidente, anche quello dell’Udc.
E ci saranno nelle urne, anche quello dell’Udc. Elemento non banale. Perché al momento della formazione delle liste è successo il patatrac.
E il candidato Marco Marsilio ha ufficialmente dichiarato, ovunque, che “l’Udc non farà parte della coalizione e della futura maggioranza”.
Fatto senza precedenti, perché giuridicamente la coalizione esiste e, a questo punto, non puoi tornare indietro: dopo il passaggio in corte d’Appello, un alleato lo puoi maledire, ma non ti ci puoi più separare. E, chi vota Udc vota comunque Marsilio. Insomma, capite il pasticcio. E l’imbroglio.
Proseguiamo sul patatrac: La Lega, che in Abruzzo ha prosciugato Forza Italia e soprattutto l’Msi dei tempi d’oro (a proposito dei riciclati della Lega, l’HuffPostfarà un’altra puntata), pone il veto su due nomi pesanti di quel rassemblement.
Uno è Andrea Gerosolimo: avvocato 45enne di Sulmona, giovane rampante, che viene dal mondo della Coldiretti, democristianissimo di una famiglia democristiana, col nonno che, ai tempi, ospitò il podestà locale. Uno da cinquemila preferenza che odia le carte, la scrivania e non stai mai fermo.
Allo scorso giro era assessore della giunta di centrosinistra di Luciano D’Alfonso, ma da un anno aveva iniziato a costruire la sua marcia di avvicinamento “civico” al centrodestra.
L’altro è Mario Olivieri, democristiano di Vasto e amico di Zio Remo (Gaspari ovviamente), presidente uscente della Commissione Sanità, da un anno non più in maggioranza col centrosinistra, e in avvicinamento, anche in questo caso “civico” al centrodestra.
A questo punto, la Lega pone il veto perché non si possono candidare i “riciclati” che sono stati nel centrosinistra. Si narra di una discussione molto maschia al tavolo delle candidature.
Di questo tenore: “Ma perché i riciclati miei non vanno bene e i tuoi sì?”. Perché la Lega candida, per fare qualche nome, nelle sue liste Camillo Sulpizio, già assessore di D’Alfonso (provenienza Italia dei Valori) o la signora Nicoletta Verì che, dopo tanti cambi di casacca, si candidò al Senato con la Lista Monti, già proprio così: Monti, quello della Fornero.
Per superare il veto insormontabile, la mossa. Al posto di Olivieri, un suo socio politico.
Al posto di Gerosolimo, i centristi propongono un altro nome: Marianna Scoccia, sindaco di Prezza, un comune in provincia dell’Aquila. Moglie di Gerosolimo. Sulla mossa c’è il via libera, in un primo momento, sia di Marsilio sia di Tajani, che lo comunicano a Cesa prima di depositare le liste.
Perché sarà anche la “moglie di” ma è comunque un sindaco di un comune di centrodestra. Nuovo veto della Lega, anche sulla signora Scoccia, sindaco di Prezza. E quasi una rissa in corte d’Appello, con nomi depennati, reinseriti. E il segretario Lorenzo Cesa che, a telefono, quasi urla: “Io ho una dignità, non mi faccio piegare da questi quattro fascistelli che stanno nella Lega”. Nelle liste, alla fine, c’è la Scoccia, prima sostituita col consenso di Marsilio “perché sennò con la Lega saltava tutto” poi re-inserita da Cesa. E, a questo punto, è saltato tutto.
A voler tirare le somme sul senso politico di questo casino, ci sono tre elementi. Primo: un candidato presidente che non sa gestire il rapporto con gli alleati. Due: l’imbroglio di coalizione che non c’è più ma non si può rompere formalmente.
Un gioco strano della Lega, che fa venire spontanea una domanda: ma Salvini gioca a vincere come coalizione o a fare il pieno dei voti della sua lista, e poi “arrivederci e grazie”?.
Benvenuti in Abruzzo.
Questa è la destra che si candida a governare da quelle parti.
di Alessandro De Angelis