Cinema & Teatro, L'Angolo di Raffaele, Luciano Odorisio

Memorie lavorative e cinema che passione – 2, Sciopèn… di Raffaele Abbate

di Raffaele Abbate

 

Premiato al Festival di Venezia con il Leone d’Oro come miglior opera prima.
Da quel che so non è mai passato in TV, eppure merita di essere rivisto.

Riporto la trama tratta dal Cine Data Base.

Nella piccola città di Chieti si sparge la voce che si sta per organizzare una banda musicale di 120 elementi, che raggiungerà sicura fama internazionale. Il candidato alla direzione della prestigiosa banda non può che essere il locale maestro di musica, Francesco Maria Vitale.

Sua moglie Marta lo spinge a tentare e, più decisa e ambiziosa del marito, per fargli avere il posto, accetta la corte di un capoccia locale. Tutto sembra ormai concluso.

Ma ecco che Nicolino, una delle più cattive malelingue di Chieti, diffonde la voce che il direttore della grandiosa banda musicale potrebbe essere

soltanto Andrea Serano, amico del maestro Vitale, nato e cresciuto a Chieti, ma attualmente a Milano impegnato nella registrazione di colonne sonore televisive.

Qualche giorno dopo qualcuno telefona ad Andrea per avvertirlo della grandiosa iniziativa e il musicista accorre per mettersi in gioco contro l’amico di sempre. Ma, a poco a poco, sotto la prestigiosa proposta culturale, appare il gioco politico.

Chi guida tutto è un avvocato intrigante e faccendiere, tanto stupido quanto presuntuoso, soprannominato Sciopèn, perché da giovane aveva fatto credere sua una composizione di Chopin e così si era guadagnato il nomignolo. Nel sottosuolo del potere e degli intrighi politici del sonnolente mondo chietino Sciopèn fa il bello e il cattivo tempo.

Così, quando perde interesse politico, la banda di fama mondiale sfuma nel nulla.

Francesco ritorna insoddisfatto nell’oblio della sua grigia vita provinciale e Andrea riprende il treno per Milano: ritorna al suo lavoro ben remunerato ma anch’egli è un uomo fondamentalmente insoddisfatto.

Condivido appieno ciò che scrisse a suo tempo Giovanni Grazzini: “Soltanto per obbligo cinefilo ‘Sciopèn’ fa venire in mente “I vitelloni“.

Semmai più vicino a Gogol e a Cechov, il film è fra quanto di meglio si è detto, dopo Germi (ma con maggior compattezza d’ispirazione), sull’Italia minore, spesa in chiacchiere velleitarie e in intrighi meschini.

Ma ciò che rende per me indimenticabile Sciopèn è l’interpretazione dei vari personaggi, non solo i protagonisti, ma anche quella dei personaggi di contorno e di questo va dato merito al regista.

Tra tutti mi piace citare: Michele Placido che tratteggia magnificamente il nevrotico Francesco Maria Vitale, Adalberto Maria Merli, un dolente ed insieme divertito Andrea Serano, la solare Giuliana De Sio, una Marta Vitale sensuale e piccolo borghese, Tino Schirinzi, un repellente e fastidioso Nicolino vero e proprio Jago di provincia.

Lino Troisi, un cialtrone avvocato D’Angelo antesignano dei politici di tangentopoli.

Nel ruolo di Sciopèn Carlo De Matteis un  professore dell’Università dell’Aquila

E in un breve cameo Guido Celano, attore-regista più longevo del cinema italiano, nel ruolo di Zio Cesarino che pronuncia una delle battute più divertenti dell’intero film:

«Deborah… che cazz’ di nome Deborah!»

Suggestiva la colonna sonora: si va da New New York con il panorama piovoso di Chieti, al Coro del Miserere , composto nel 1740 da  Saverio Selecchy (Chieti,1708- 1788) a Prisencolinensinainciusol di Celentano, con divertenti inserti delle canzoncine dei cartoni animati e della disco music.

La regia di Luciano Odorisio, è di altissimo livello, con sapienti inquadrature e movimenti di macchina. Poi ha un che di “altmaniano” con l’uso frequente dei dialoghi sovrapposti, superando il tradizionale sistema dei dialoghi alternati.

Questa scelta rende reale le scene, nella vita quando due persone dialogano tra di loro accade di rado che uno parla e l’altro ascolta e poi si scambiano il ruolo. Nella vita si parla contemporaneamente.

Questo meccanismo tecnico usato per la prima volta da Robert Altman, è un campo-controcampo del sonoro.
La battuta finale poi resta impressa: “abbiamo quarant’anni, è il momento nostro”

Allora che quaranta anni non li avevo ancora, mi sembrò una luce di speranza.

Oggi dopo quasi quaranta anni non so se il mio momento sia mai arrivato.
Ho avuto la fortuna di incontrare su Facebook il Maestro Odorisio che mi ha fatto omaggio di una copia del film che è religiosamente conservato sul mio pc e su un hard disk esterno.

Da gustare questo frammento con due bravissimi Tino Schirinzi e Luigi Uzzo

Raffaele Abbate

 

 

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